L’allestimento della sezione archeologica del Museo
suddivisa cronologicamente in tre sale, testimonia la continuità degli insediamenti umani nella zona intorno alla rupe di Tropea, che si affaccia sul Tirreno in posizione favorevole per la navigazione anche verso le isole Eolie, e rappresenta la punta del fertilissimo promontorio di Monte Poro. Queste circostanze hanno fatto sì che la zona fosse abitata fin dall’età preistorica, e la scelta dei reperti vuole evidenziare le varie epoche fino alla prima comunità cristiana. Oltre al lavoro scrupoloso svolto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, è bene sottolineare l’apporto sostanziale che ebbe l’appassionata ricerca del marchese Gilberto Toraldo di Francia nella prima parte dello scorso secolo e del Gruppo Archeologico Paolo Orsi, fondato da mons. Francesco Pugliese negli anni ’70, ai quali si devono molti dei ritrovamenti presenti all’interno della sezione.
Dal Neolitico all’età del Ferro
La prima sala è un bel locale voltato seminterrato riservato alla preistoria e alla protostoria: a Tropea sono stati, infatti, rinvenuti materiali che documentano l’occupazione del territorio che dal Neolitico (V millennio a.C.) si protrae, anche se in modo discontinuo, fino all’età del Ferro (IX sec. a.C.), ed in particolare suggeriscono un ruolo egemone della città nella media età del Bronzo (XVII-XIV sec. a.C.). La fase più antica è rappresentata da un piccolo vaso e da uno più grande in frammenti con le anse a “rocchetto” (stile di Diana) provenienti dalla località Campo. All’Eneolitico (3000 a.C.) risalgono, invece, alcune urne cinerarie ritrovate a più riprese sulle colline sovrastanti la città, in località Caria, e relative ad una vasta area cimiteriale, finora l’unica ad incinerazione di tutta la Calabria per questo periodo, e seconda in Italia insieme alla necropoli campana del Taurasi.
L’esposizione è completata da oggetti ritrovati in vari punti del centro storico, in particolare nei pressi della Cattedrale, e risalenti alla media età del Bronzo, tra i quali spicca una matrice per la fusione di giavellotti, che dimostra come queste armi non fossero importate ma prodotte in loco; e da reperti inerenti le vaste necropoli ad incinerazione delle contrade Annunziata e Contura (Bronzo finale), costituite da pozzetti scavati nel terreno e foderati in pietra in cui venivano poste le urne e i loro corredi, consistenti in un coltello, un rasoio o una fibula in bronzo.
Il periodo magnogreco
Una piccola saletta al primo livello è dedicata all’età magnogreca del V e IV sec. a. C., periodo in cui è attestato un piccolo abitato sulla rocca, da mettere in relazione con le sepolture ritrovate nella periferia della città. Qui le vetrine, divise con criterio topografico, contengono rispettivamente del materiale ceramico, purtroppo frammentario, a figure rosse, proveniente dallo scavo all’ex Villetta Crigna, insieme a pochi reperti rinvenuti in piazza Duomo, la prima; nella seconda sono esposte, sulla sinistra, delle raffinate ceramiche a vernice nera, caratterizzate da decorazioni a palmette ed ovuli, mentre sulla destra si segnalano una figura femminile di divinità in trono, forse Afrodite, e dei fermi da cintura in bronzo a forma di cicala.
La presenza di questi elementi propri di un’armatura difensiva era caratteristica delle usanze dei Bretti, i quali deponevano all’interno delle tombe maschili le armi appartenute al defunto, cosa che al contrario i greci non facevano. Ciò a testimonianza della penetrazione di genti brettie, che dominarono nella vicina Hipponion (Vibo Valentia) per parte del IV e III sec. a.C.
La necropoli tardoantica
L’ultima sala è dedicata al ritrovamento più importante, ossia il cimitero paleocristiano (V-VII secolo) rinvenuto sotto la piazza antistante lo stesso Museo e la Cattedrale. Questo fu scoperto già nel 1926 da Pasquale Toraldo, ma scavato in maniera sistematica solo nel 1980 e nel 2001, portando alla luce una porzione di una vasta area cimiteriale, che prosegue anche al di sotto del palazzo stesso, e arriva fino alla zona del castello, le cui antiche vestigia furono demolite nel corso dell’800. La necropoli è formata da una serie fittissima di fosse scavate nella roccia della rupe e con copertura a botte, realizzata con malta e laterizi: le tombe, dette in gergo a cupa, presentano strette analogie con Algeria e Tunisia e costituiscono tuttora un unicum in Calabria.
I rapporti con l’Africa sono altresì confermati dai corredi, ricchi di vasellame in sigillata africana di vario tipo, raccolti all’interno di una vetrina, in cui trovano posto anche una brocchetta in vetro soffiato e una croce reliquario in argento. Adagiate sulla sabbia, a simulare lo scavo, alcune delle cupae, di cui una conserva ancora incastonata la lapide dedicatoria, mentre altre epigrafi, recuperate durante le indagini archeologiche, sono esposte all’interno della sala. Dagli studi effettuati sulla necropoli si è evinto che la prima comunità cristiana presente a Tropea dovette essere di origine africana, e ciò non solo per la tipologia delle sepolture, ma anche per l’onomastica incisa sulle iscrizioni funerarie.