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Il contesto storico

A partire dal XIII secolo si ebbe in tutta la Calabria un fiorire di monasteri che diedero un immenso contributo alla crescita culturale della società, sviluppando, inoltre, nel caso dei Francescani, un forte interesse nel campo musicale, con notevoli contributi nei settori del canto gregoriano e della polifonia. Tropea fu luogo privilegiato per la fondazione di tali realtà monastiche, se ne contavano almeno una decina fino al terremoto del 1783, se si comprendono anche quelle sorte al di fuori delle mura della città. Il più antico tra quelli eretti dai seguaci del poverello di Assisi, risalente al 1296, è quello dei Frati Minori Conventuali, ramo che, all’interno dell’ordine del Padre Serafico, poté vantare parecchi musicisti in tutta la regione, tra i quali si distinse il tropeano Girolamo Ruffa.

L’attività

Le notizie relative alla sua vita sono piuttosto scarse e deducibili quasi esclusivamente da ciò che egli stesso riporta nelle proprie opere, dalle quali appare chiara la sua conoscenza di scrittori ed artisti antichi e contemporanei. Nato a Tropea nella seconda metà del XVII secolo, trascorse la sua giovinezza nel chiostro dei frati minori e fu allievo, a partire dal 1682, del compositore fra’ Domenico Scorpione appartenente al suo stesso ordine, come emerge anche dagli scritti di quest’ultimo, nel periodo in cui il religioso rossanese fu ordinato Maestro di Cappella della Cattedrale di Tropea. La produzione del Ruffa consta di quattro opere numerate, due pratiche e due teoriche, delle quali la seconda, “Istituzioni corali”, risulta perduta, ma se ne apprende l’esistenza attraverso un documento conservato nell’Archivio Generale dei Frati datato 12 marzo 1700. Grazie al frontespizio della prima, “Graduali per tutte le domeniche minori dell’anno, non solo per le cappelle, ma utili per solfeggiare” (Napoli, 1700, De Bonis stampatore arcivescovile), si conosce la sua attività di Maestro di Cappella della Cattedrale di Mileto, che si protrarrà per parecchi anni. Si tratta di una raccolta organica e sistematica di composizioni, tutte a due voci ed organo, importante perché colma un vuoto nei repertori di allora. Essa è dedicata a D. Pietro de Mendoza, Governatore e Vicario Generale degli Stati di Mileto e Francavilla, che aveva potuto ascoltare parte di esse durante le relative funzioni liturgiche e che aveva dimostrato di apprezzare, come si evince dalla premessa all’opera stessa. Di questa, due esemplari sono giunti fino ai nostri giorni, uno conservato nella Biblioteca del Conservatorio di Musica di Bologna ed uno nella Cappella Giulia di Roma, nella quale si custodisce anche “Salve a solo et a due, con violini e senza, e Litanie della B.V. a tre concertate” (Napoli, 1701, De Bonis). Infine l’ultimo scritto, nella cui iscrizione si legge l’omaggio a Bonaventura di Candidone, Ministro Provinciale e Commissario Generale dell’Ordine de’ Minori in Calabria, è il trattato “Introduttorio Musicale per ben approfittarsi nel canto figurato; con Regole utili a’ Principianti: comodo, e dilettevole a’ Professori che insegnano” (Napoli, 1701, De Bonis), una copia del quale è custodita sempre a Bologna, contenente preziosi consigli pratici.

Il pensiero

Nel Seicento il confronto tra i dettami liturgici della Controriforma e le nuove esigenze artistiche porta alla contrapposizione in campo musicale tra la polifonia classica e lo stile concertato della monodia moderna. È in questo quadro che si innesta l’attività del tropeano, il quale illustra nell’Introduttorio le sue posizioni circa l’affermarsi della seconda pratica, codificata da Claudio Monteverdi, caratterizzata dall’inserimento nei brani sacri di strumenti che accompagnavano o si alternavano alle voci e che si poneva in netto contrasto con la prima in cui dominava lo stile a cappella e il cui rappresentante più autorevole era Giovanni Pierluigi da Palestrina. L’obiettivo principale di un ritorno alla monodia era dare più importanza alla parola piuttosto che alla musica, come facevano i greci. Il Ruffa, nonostante resti sostenitore delle idee tradizionali, ammette le innovazioni dello stile moderno. Egli considera, infatti, le pratiche legate a due differenti stili, due diversi modi di impiegare gli stessi elementi, in particolare le dissonanze, che non sono così frequenti nelle modulazioni antiche quanto lo sono in quelle moderne e che vengono inserite soprattutto per esprimere e sottolineare l’azione; è convinto dell’interdipendenza tra le due tendenze per la quale le nuove idee non possano non basarsi sulle regole del passato, ammettendo anche l’accostamento di elementi nuovi alle norme consolidate. Un eclettismo e una particolarità che affiora nei suoi componimenti, da un lato i Graduali con uno stile contrappuntistico e dall’altro i Salve Regina che risentono del gusto coevo, e nei suoi trattati, che non vengono stilati come un elenco di rigide norme, ma nei quali le regole sono descritte in funzione del fine ultimo della musica, che è quello di colpire l’immaginazione di chi ascolta. L’accento posto sugli elementi espressivi, oltre che formali, costituisce l’importanza del lavoro di Girolamo Ruffa.