La Diocesi e il Museo Diocesano di Tropea
La storia della Diocesi
Il territorio tropeano subì una precoce cristianizzazione. Grazie ad un’importante testimonianza epigrafica relativa ad una vasta necropoli tardoantica (un unicum in Calabria) scoperta alla fine del XIX sec. e indagata, per la porzione adiacente alla Cattedrale, a partire dal 1980, è stato infatti possibile attestare la presenza di una comunità cristiana già dal V sec. L’esistenza della Massa Trapeiana (vasto latifondo agrario facente parte del patrimonium Sancti Petri) viene altresì documentata da una lettera del 559 di Papa Pelagio I. Nel 649, anno in cui è nota la partecipazione di Giovanni Vescovo di Tropea al Concilio Lateranense presieduto da Papa Martino I, la Massa si era già evoluta in Civitas, ed era stata fornita di fortificazioni murarie per cui aveva potuto ricevere dignità di sede vescovile. Tropea era già sotto il dominio dell’Impero bizantino, che nell’VIII sec., in seguito alle lotte iconoclaste, sottrasse la chiesa al patrimonio pontificio e sostituì il rito latino con quello greco. La successiva conquista normanna nel 1062 comportò il progressivo ritorno all’antico rito e al dominio della Chiesa di Roma, nonché la concessione di numerosi privilegi alla Città. Nel 1066 Roberto il Guiscardo confermava alla Chiesa vescovile di Tropea tutto ciò che ad essa apparteneva ab antiquo, e nel 1094 il figlio Ruggero Borsa assoggettò in modo perpetuo ad essa la Diocesi di Amantea (detta Diocesi Inferiore). Probabilmente in questo periodo iniziò la costruzione della Cattedrale e dell’Episcopio, proprio sull’area cimiteriale tardoantica. Nel 1818 la Diocesi di Tropea fu da Pio VII congiunta a quella di Nicotera, aeque principaliter, ognuna di esse conservando i propri diritti e privilegi. Nel 1963 un decreto della Congregazione Concistoriale pose fine alla millenaria unità territoriale dell’antica diocesi amanteana. L’11 luglio 1973 Vincenzo De Chiara, Vescovo di Mileto, fu nominato anche Vescovo di Nicotera e Tropea, unendo così in persona episcopi le tre diocesi, che nel 1986 vennero accorpate con la formula plena unione assumendo la nuova denominazione Mileto-Nicotera-Tropea.
La nascita del Museo
Dal 1926 al 1931 un massiccio intervento di restauro di ripristino, riportò la Cattedrale al suo aspetto originario in stile normanno. Proprio durante questi lavori si profilò la prima idea, dovuta all’ing. Edoardo Galli, di costituzione di un museo che raccogliesse innanzitutto le opere d’arte che facevano parte dell’arredo barocco della chiesa e che furono smantellate per far posto alla “nuda pietra”. Allo stesso Galli si deve il consiglio del “Civicum Antiquarium Tropaeanum”, vale a dire una raccolta del materiale archeologico rinvenuto non solo durante i lavori di restauro del duomo, ma anche in altre zone della città, materiale, questo, che rappresenta una parte dell’attuale allestimento della sezione archeologica del Museo. Tuttavia la questione venne accantonata per molto tempo con la conseguenza che molti manufatti, appartenenti anche ad altre chiese, che nel frattempo vennero chiuse, fu disperso. Negli anni ’70 Mons. Francesco Pugliese si impegnò nella catalogazione di tutti i beni artistici presenti a Tropea e si occupò del recupero e del restauro di alcune delle opere presenti oggi al Museo Diocesano, aperto al pubblico a partire dall’estate del 2004, e che ha la sua sede nell’antico Palazzo vescovile.
L’allestimento
Il Museo racconta la storia della Diocesi e della Città di Tropea attraverso l’esposizione, in due sezioni tematiche, di reperti archeologici, ritrovati a più riprese nel territorio, e di opere d’arte provenienti dalle chiese tropeane, soprattutto dalla Cattedrale, commissionate nel corso dei secoli da presuli illuminati e da munifici nobili del patriziato presso le botteghe più importanti e attive del meridione, specificatamente napoletane e messinesi. La maggior parte delle opere risalgono ai secc. XVII e XVIII: tra queste un’interessantissima collezione di busti reliquiari e statue a figura intera, che presentano la tipica decorazione a foglia d’oro propria dello stile barocco, e gli argenti del Tesoro della Cattedrale, tra i quali spiccano il ricciolo di baculo pastorale, creato da una bottega orafa napoletana in forme tardo-gotiche nella seconda metà del XV sec., e la statua d’argento di Santa Domenica, realizzata da Francesco Avellino nel 1738.
Frammenti di passato
All’interno dell’edificio è possibile ammirare due pregevoli cappelle, che rappresentano le uniche testimonianze originali dell’antico palazzo: la Cappella del Monte di Pietà (XIV sec.) e la settecentesca Cappella di Monsignor de Paù. La prima, posta al piano terra, era in origine la piccola chiesa di Santa Maria della Piazza, che alla fine del Cinquecento venne inglobata, insieme ad alcune botteghe medievali, nell’ampliamento dell’Episcopio voluto dal Vescovo Tommaso Calvo, il quale nel 1598 vi eresse il Monte di Pietà. Lo spazio è coperto da una volta a crociera costolonata e conserva ancora brani di affreschi risalenti a varie epoche. La seconda è la cappella privata del Vescovo Felice de Paù, che la fece realizzare nel 1755. Situata al secondo piano e celata da un portale in legno intarsiato con motivi floreali, essa presenta un altare in stucco dipinto a finto marmo giallo, sul quale è l’“Adorazione dei pastori” di Cosmo Sannio, che riprende l’immagine dall’opera di Corrado Giaquinto posizionata proprio sull’altare della famiglia de Paù, nella chiesa del Purgatorio di Terlizzi (BA); in basso al centro del quadro risalta l’arme del vescovo, con il pavone che dà il nome alla famiglia, che ritorna sul portale ligneo, sui laterali dell’altare e al centro del pavimento realizzato in maioliche napoletane.