“La veduta è l’esatta controparte figurativa del viaggio”
Peter Galassi, Corot in Italiado
I primi documenti
La più antica immagine conosciuta della città è inclusa all’interno di un manoscritto cinquecentesco ritrovato presso un antiquario dall’On. Domenico Romano Carratelli, appassionato bibliofilo dal quale il Codice ha assunto il nome. Redatto probabilmente per volere del viceré di Napoli Juan de Zúñiga Avellaneda y Bazán, Conte di Miranda, in carica dal 1586 al 1595, il volume consta di 99 fogli acquerellati che descrivono il sistema fortificato, costruito a difesa delle zone costiere della Calabria Ultra contro le incursioni turche, attraverso la rappresentazione grafica non solo delle torri di avvistamento, ma anche delle piazze militari più rilevanti come quella di Tropea. Fino al momento della scoperta di questo documento dall’importantissimo valore storico e topografico, la prima raffigurazione della città era costituita dal disegno eseguito nel 1664 dall’olandese Willem Schellinks, che riproduce in maniera pittoresca la rupe e l’ambiente circostante, indicandone gli elementi più significativi e registrando sul suo diario considerazioni sul luogo che trovano una perfetta corrispondenza con l’illustrazione. Questa, realizzata durante uno scalo tecnico nel viaggio di ritorno tra Messina e Napoli, fa parte della collezione nota come Atlante del Principe Eugenio, (Österreichische Nationalbibliothek, Vienna), per la creazione del quale la spedizione era stata commissionata. Nella stessa biblioteca è custodito il manoscritto Regno Napolitano anatomizzato dalla penna di D. Francesco Cassiano De Silva lombardo (1708) che contiene un’acquaforte su rame in cui l’artista veste Tropea quasi di una visione mitica, raffigurandola come stante su un isolotto, quasi un’acropoli, in un chiaro riferimento alla Magna Grecia. Del Cassano è altresì il bozzetto, inciso affatto fedelmente, per l’opera postuma di Giovan Battista Pacichelli Il Regno di Napoli in prospettiva (1703), che all’epoca conteneva il nucleo iconografico relativo al Sud più cospicuo a corredo di un testo, il quale restituisce, nonostante lo sforzo di darne un volto più articolato e veritiero, un’immagine della Calabria ancora legata a vecchi stereotipi.
Il secondo Settecento
Nel 1773 P. Antonio Minasi, filosofo e naturalista scillese, riceve l’incarico da papa Clemente XIV di ricercare fossili, minerali e produzioni vulcaniche, per il Museo Pio Clementino, nel Regno di Napoli e in Sicilia e di ritrarne le località più importanti, tra le quali Tropea, presente in due stampe: Prospetto della Città di Tropea fra i promontorj Sabrono e Vaticano (1773) di Guglielmo Fortuyn e La veduta della nobile Città di Tropea e dell’antico villaggio di Paralia (1778) di Bernardo Rulli. Le tavole, che hanno la medesima impostazione, ribaltano il vedutismo del Pacichelli, ponendo l’accento sulla storia e sulla natura, oltre che sul mito, cosa resa ancor di più dalle minuziose didascalie a corredo. Pochi anni più tardi Henry Swinburne nel suo Travels in the two Sicilies in the Years 1777, 1778, 1779 and 1780, si sofferma su Tropea descrivendone la popolazione, le attività e il territorio con dovizia di particolari e tratteggiandone da Nord la struttura urbana in modo asciutto e preciso tale da essere il più aderente possibile alla realtà. Il risultato è quanto di più lontano dalle suggestive immagini elaborate nello stesso periodo da Louis-Jean Desprez e Claude-Louis Châtelet. Il primo nella Vue de la Ville & du Château de Tropoea coglie l’imponente rupe e lo scoglio dell’Isola che fanno da sfondo alla scena dei pescatori in primo piano, elemento che anima e drammatizza l’intero paesaggio; il secondo nella Vue de Château ou Hermitage de Tropoea riprende lo stesso soggetto dal lato opposto e quasi completa, senza conferirle la stessa esasperazione, la tavola precedente. Gli artisti facevano parte del drappello, capeggiato dallo scrittore Domenique Vivant de Denon, partito nel 1777 alla volta di Puglia, Calabria e Sicilia per conto dell’Abate Jean Claude Richard de Saint-Non, e il cui lavoro era finalizzato alla pubblicazione del Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicilie, che racconta il Meridione d’Italia, attraverso vedute pittoresche dai forti effetti chiaroscurali, caratterizzato da una rigogliosa natura in cui l’uomo è ancora saldamente legato alla propria storia.
Dopo il terremoto
Nel 1783 la percezione della regione muta notevolmente, influenzata com’è dal terremoto, che lascia dietro di sé, in gran parte del territorio, soltanto le rovine di un passato costruito dall’uomo che la natura ha in pochi istanti cancellato: sarà questa visione della Calabria ad essere cristallizzata nelle iconografie fino agli inizi dell’Ottocento, il cui esempio più interessante è costituito dall’Atlante annesso all’Istoria del tremoto (1784) di Michele Sarconi. Questi, percorrendo le zone colpite dal sisma, riporta annotazioni circa i villaggi interamente distrutti o gli stravolgimenti subiti dal paesaggio, situazioni che vengono immortalate dagli artisti che lo accompagnano in questa missione voluta dal governo borbonico. All’interno della raccolta compare la tavola Tropea veduta dalla marina di Pargalia (1783) di Ignazio Stile, dalla quale l’abitato, riportato con estrema precisione, sembra non aver riportato grossi danni; inoltre l’inserimento di personaggi sulla spiaggia intenti a riparare imbarcazioni e reti da pesca suggerisce un ritorno alla normalità. Ma è ancora una terra martoriata quella che si palesa, circa trent’anni più tardi agli occhi del pittore Franz Ludwig Catel, in viaggio nel 1812 per il Regno di Napoli con l’archeologo Aubin-Louis Millin e lo scrittore Astolphe de Custine, che ci regala due splendide vedute della città che testimoniano come tuttora, a distanza di più di due secoli, Tropea conservi ancora quasi del tutto immutato il suo maestoso centro storico.