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Albino Lorenzo

Custode fedele della memoria di un popolo e figlio devoto della sua Tropea; il pittore che seppe innovare una corrente artistica e irradiare con le sue opere la pura identità della sua terra

Albino Lorenzo nacque a Tropea il 19 gennaio 1922 da Saverio, insegnante di disegno, e Maria La Torre. Fu suo padre, infatti, ad avvicinarlo ai colori e alla magia della tavolozza trasferendogli la sua passione per la pittura. Nel 1944 all’età di 22 anni, sposò Luigia Capua, donna che per tutta la vita gli resterà accanto con una dedizione assoluta, generando ben 18 figli. Lorenzo iniziò a dipingere ad acquarello verso il 1950 dopo una lunga malattia. 

Nel procedere da autodidatta ci saranno stati certamente dei maestri, dei pittori ai quali Lorenzo volle ispirarsi. L’artista più amato fu Salvatore Fiume, con il quale credeva di avere una certa sintonia. Ma tra i grandi maestri colloca anche il calabrese Cefaly, un “genio del colore”. Si sentiva discepolo, umile seguace del grande impressionismo francese: di Renoir, Monet, Manet, non dei Macchiaoli e di Fattori. Il tracciato si dipanò in una sorta di post-impressionismo sui generis come scrisse Maurizio Calvesi, che fece di Lorenzo “un caso” nel panorama della pittura del dopoguerra in Italia.

La fede, la famiglia e la pittura furono gli elementi basilari della sua vita. In molte delle sue opere è presente il riferimento alla fede, i protagonisti vengono spesso rappresentati di spalle, le spalle che sostengono il peso della fatica, ma anche la certezza dello sguardo di Dio. Dio ci guarda le spalle: non è davanti ai nostri occhi, ma dietro e per questo non lo vediamo”.

Nei primi mesi del 1957, il Vescovo Agostino Saba gli chiese di dirigere nel suo tempo libero il Dipartimento di pittura del Seminario Vescovile della Diocesi di Nicotera e Tropea. È proprio negli anni ‘50 che Lorenzo iniziò a definire le tematiche della sua opera: le sue prime opere denotano già l’attenzione alle cose semplici della vita Il mulino, l’amore per i suoi luoghi, Sulla bicicletta. La fatica quotidiana della gente semplice, la genuinità del mondo contadino e tutte le problematiche ad esse connesse, iniziarono ad irrompere con prepotenza nell’opera di Lorenzo, esse rappresentarono il fulcro di quell’evoluzione artistica che in poco tempo portarono la sua arte all’attenzione del pubblico e della critica mondiale. Lorenzo è il pittore dei contadini, della loro storia, i loro fardelli, i loro rituali, le loro credenze, il loro silenzio, tra il Poro e i costoni che portano all’incanto del mare, alla Tropea sanguigna e nobile, rosa dalla luce accecante del sole e della salsedine (Carlo Carlino).

Il massimo del successo artistico Lorenzo lo conquistò tra il 1960 e il 1980-1985, anni in cui la critica nazionale si occupò delle sue opere. I suoi ritratti, i suoi paesaggi, furono esposti nelle gallerie più prestigiose di quella fase storica, non solo in Italia. Sono infatti anche questi gli anni delle sue prime rassegne internazionali importanti a Nizza, Deauville, Parigi, Bruxelles, Knokke, e infine New York, 50 le “personali” e oltre 70 le “collettive d’arte” che lo videro protagonista di primo piano. «Uomo dell’anno» nel 1977 a New York, riconoscimento che gli viene dalla Little Italy della Grande Mela, «Nomination Speciale» nel 1981 a Tokyo per la grafica, Vincitore della Rassegna d’Arte Contemporanea a Lione, diventa per tutti «il poeta della terra», il «custode fedele dei contadini del Sud», il «ritrattista dei poveri», il  reporter dei mercati e delle fiere di paese».

Con il successo giunsero anche le recensioni giornalistiche d’autore, ma soprattutto si consolidano le prime «amicizie eccellenti», con Michele Cascella, Claudio Strinati, Maurizio Calvesi, Marziano Bernardi, Dino Buzzati, Carlo Mazzarella, Mauro Sassoli, Eduard Baumer, Luigi Servolini, Bruno Morini, Franco Miele, Guglielmo Petroni, Renzo Guasco, Carlo Carlino, Albino Galvano, Mario Perazzi, Stefano Ghiberti, Riccardo Campanella. Ma ancora più profondo fu il suo rapporto con Eugenius Eibisch famosissimo pittore polacco dell’Ecole di Paris che per anni lo invita, ma inutilmente, a presentare le sue opere nei paesi dell’Est. Carlo Carlino, nell’incipit del suo articolo “Un diario senza fine”, definì Lorenzo un uomo «schivo, modesto, lontano da ogni clamore, immerso instancabilmente nella sua caparbia ricerca».

Come Lorenzo stesso ebbe a dire in un’intervista rivoltagli dal giornalista della Rai Pino Nano, «la pittura può anche essere denuncia e rivolta, ma è prima di tutto stato d’animo»; stato d’animo, espressione del proprio mondo: «Se hai la fortuna di avere un mondo». Al successo che lo attendeva a Milano, Albino Lorenzo preferì quello che egli definiva il suo mondo, un mondo innanzitutto autentico, in cui il tocco impressionista dell’artista «elimina le ombre per intensificare la vibrazione della luce» (Maurizio Calvesi). Quando gli fu chiesto perché dipingesse con tanta insistenza gli stessi soggetti – contadini, scene di mercato – rispose: “perché sono il ricordo più bello dei miei anni passati. Sono la testimonianza di un’epoca scomparsa. appartengo alla generazione in cui le scene che dipingo erano scene normale. Quei contadini sono il mio mondo, e voglio fissare su tela la loro fatica, la loro dignità, la loro umiltà” (Carlo Carlino).

Profonda fu la rispondenza tra il pittore e Tropea, unico luogo dove visse e operò. La Tropea ritratta da Lorenzo non ha nulla che esalti il suo mare e le sue coste. Lo scenario immortalato fu quello più grave e quotidiano, calcato dai passi della gente più umile. “Del resto scoprire, non superficialmente, Tropea non è solo scoprire un incantevole posto di mare, è scoprire il segreto di un connubio di natura e cultura, di viventi santificazioni che sorgono dalla preistoria. Nei soggetti egli acciuffa per gli ultimi lembi un repertorio contadino in accelerato processo di scomparsa; richiama alla memoria tempi non lontani in cui Tropea e il suo entroterra erano così: mercati luccicanti di pesci, cassette rosse e gialle di pomodori e limoni coppole e fagotti dei braccianti, il transito solenne delle mucche e il trotterellare dei somari.” (Maurizio Calvesi).

Io sono solo me stesso, per me la pittura è vita. È uno stato d’animo”. Questa fu sempre la risposta modesta quando gli si ricordavano i riconoscimenti e i tanti apprezzamenti ricevuti. Rifiutò di trasferirsi al Nord in un periodo di crescente successo, la motivazione: “mi sarebbe mancata troppo la mia terra, la mia gente. Sarei morto di nostalgia. Non sarei stato più me stesso lontano da questo posto, da questo sole, dai miei ricordi. A cosa sarebbe servito il successo? Mi sarebbe mancato il respiro di questa terra, la linfa che anima il mio dipingere. La pittura è l’unica cosa sentitamente viva della mia vita, un ideale tangibile, un bisogno quasi fisico. Ho fatto del colore un castigo quotidiano, una pena d’amore”.

Una pittura che nasce da un’emozione “Per me tradurre quest’emozione in un quadro è come obbedire a un istinto naturale, irrefrenabile. Un bisogno che si appaga solo quando ho terminato l’opera”. Nessuno studio preparatorio. “Il quadro è l’immagine che è rimasta impressa negli occhi. Tutto si realizza nella mente. All’inizio è un’energia quasi incontrollata. Poi le pennellate vengono una dopo l’altra, naturalmente, di getto.” È sempre il legame con il “suo mondo”, quello contadino, passato, a partorire i quadri di Lorenzo; un legame indissolubile, ossessivo, dove il tema è sempre lo stesso e solo le “varianti” infinite. Un modo che noi con distacco, riteniamo tramontato, superato; questo mondo però esiste, è fatto di mani ruvide, pieno di speranze, spesso tradite, deluse eppure mai sopite, di uomini e donne che sanno cos’è l’attesa sotto il sole, vissuta senza dire una parola.

Morì all’età di 83 anni, nella sua Tropea il 27 dicembre 2005. Ai suoi funerali parteciparono in migliaia. Tropea perse per sempre il suo figlio illustre eultimo grande patriarca, ma la sua arte immortale continua a vivere tra le luci e le sfumature delle opere custodite con affetto e gratitudine nelle case di moltissimi tropeani e nelle collezioni prestigiose sparse nel resto del mondo.