Le origini
Austera nelle sue belle linee architettoniche pulite e rigorose, la Cattedrale di Tropea si erge alla fine di via Roma. Secondo le fonti, nel VII sec. la cattedra del vescovo ebbe la sua prima sede nella chiesa di S. Giorgio costruita sul tempio di Marte, per poi essere trasferita in quella di S. Nicola detta la Cattolica, dove rimase fino all’erezione dell’edificio definitivo. Questo fu oggetto nell’arco della sua storia millenaria di una serie di rifacimenti, modifiche, superfetazioni ed, infine, di un massiccio ed invasivo intervento di restauro ad pristinum, tale da renderne difficoltosa la lettura nonché la precisa datazione. Il sito scelto per la sua realizzazione fu quello adiacente ad una necropoli tardo-antica (V-VII sec.), sul quale sorgeva precedentemente un piccolo cenobio dedicato a Santa Domenica, patrona della città, e del quale sono stati ritrovati resti murari al di sotto della pavimentazione, in corrispondenza della navata centrale. La documentazione atta a chiarirne le origini si riduce ad una serie di diplomi, in particolare quello firmato nel 1094 dal Duca di Puglia e di Calabria Ruggero Borsa, figlio di Roberto il Guiscardo, in cui si legge “dedi etiam plateam meam ad illuminandam Ecclesiam”, passo interpretato come volontà di concedere donazioni per adornare un tempio già esistente e che attesta il coinvolgimento dei Normanni nella fabbrica.
Uno spazio in continua trasformazione
La Cattedrale fu costruita contemporaneamente all’Episcopio, che, al tempo di Federico II, venne ingrandito con l’aggiunta del portico antistante la facciata della chiesa: questa, di dimensioni più piccole, era staccata dal palazzo, ma vi si addosserà un secolo più tardi, inglobandone alcune parti. Nel 1475 il vescovo Pietro Balbo (1463-’79), in occasione del Giubileo del 1475, ottenne da Papa Sisto IV l’indulgenza per coloro che avessero visitato la chiesa lasciando «l’obolo per la Crociata e per la fabbrica della Cattedrale», cosa che suggerisce l’esecuzione di lavori non meglio precisati. Dalla seconda metà del Cinquecento in poi le informazioni sulle modifiche subite dall’antico edificio risultano più corpose, fornite per lo più dalle memorie dei presuli tropeani e dalle relazioni delle Visitae ad Limina da essi redatte periodicamente. Da queste è noto che gli interventi più sostanziali di quel periodo si devono a Tommaso Calvo (1593-1613) e comportarono l’abbattimento delle absidi e la creazione di un profondo coro, al di sotto del quale venne costruita una struttura ipogeica destinata alla sepoltura dei vescovi; inoltre venne edificata la Cappella del SS. Sacramento accorpata alla parete sud della chiesa. In seguito Mons. Fabrizio Caracciolo (1613-’26) dotò la fabbrica di una nuova e più ampia sagrestia, mentre il Vicario Sebastiano Militino (1626-’33) fece realizzare la Cappella di S. Domenica. Al 1673 risale il campanile di Luigi de Morales (1667-’81). Il Settecento è certamente il secolo dei maggiori cambiamenti, dovuti a Gennaro Guglielmini (1732-’50), il quale adornò la Cattedrale di marmi e stucchi, eresse la nuova Cappella di S. Domenica (oggi del SS. Sacramento) e la Sala Capitolare, e fece aprire l’accesso nord incorniciato da un pregevole portale e sormontato dal rilievo marmoreo della Madonna di Romania: questi insieme ad altri interventi conferirono alla chiesa la veste barocca che avrebbe definitivamente celato quanto restava dell’originaria struttura medievale. Il suo successore Felice De Paù (1751-’82) volle una scala di collegamento con l’Episcopio attiguo, ma trascurò a tal punto la Cattedrale che già prima del sisma del 1783, che recò all’edificio numerosi danni, versava in condizioni deplorevoli. La ricostruzione post-terremoto toccò a Mons. Giovanni Vincenzo Monforte (1786-’98), il quale provvide anche al restauro dell’altare maggiore e della tribuna, al rifacimento del pulpito e della pavimentazione del presbiterio e sistemò la nuova sepoltura dei vescovi innanzi all’altare maggiore.
Il restauro stilistico
All’inizio dello scorso secolo il tempio principale della città si presentava dunque in sontuose forme barocche, riccamente decorata con marmi policromi, con un profondo coro finestrato, la cupola affrescata posta al centro del finto transetto ed eleganti cappelle e altari, fondati da nobili o da congreghe, che si aprivano numerose ai lati delle navate laterali. Gli eventi sismici del 1905 e del 1908 danneggiarono però la struttura, perciò la Cattedrale venne inserita nel piano di ricostruzione delle chiese terremotate promosso dalla Soprintendenza per le Antichità del Bruzio e della Lucania. I lavori si protrassero dal 1926 al 1931 sotto il vescovo Felice Cribellati: l’obiettivo era il consolidamento statico della chiesa, ma finirono con il riportarla alla primigenia configurazione, cosa che in realtà non poteva verificarsi tanti erano stati i rimaneggiamenti nel corso dei secoli, ma che venne auspicata in seguito ai primi saggi effettuati sul lato settentrionale. Questi portarono alla luce una serie di archi ciechi sormontata da una successione di finestre, alcune delle quali tamponate, concluse da archi con ghiere dalla decorazione policroma, linguaggio riscontrato nelle produzioni medievali campane e siciliane. Sulla facciata viene ricostruito in stile, utilizzando anche conci bicromi emersi in fase di restauro, il portale maggiore archiacuto a finto protiro. Vengono altresì abbattute le absidi secentesche e ricostruite sulle tracce di fondazione di quelle antiche, utilizzando come matrice la decorazione della parete nord. All’interno lo spazio trinavato, “liberato” dalle superfetazioni per lasciare il posto alla nuda pietra, è scandito dai pilastri ottagonali, rimontati intorno ad una nervatura in ferro, che sorreggono archi a sesto acuto dalla doppia ghiera, parte dei quali risultano originali. Oltre a questi e ad altri piccoli elementi, null’altro dell’antica fabbrica è stato rinvenuto, mentre delle modificazioni successive si è deciso di mantenere la porta laterale del Guglielmini, il rosone cinquecentesco, il campanile e la Cappella di S. Domenica. Vero è che nell’eseguire i lavori le parti risarcite a sostituzione di quelle mancanti vennero comunque evidenziate in modo che fosse chiara la differenza con quelle autentiche, il che costituisce una magra consolazione all’interno di un così discusso intervento.