All’inizio del XVII secolo, Tropea era una delle città più antiche e importanti della costa tirrenica e venne venduta dal viceré di Napoli, conte di Lemos, al principe Vincenzo Ruffo per 191.041 ducati.
Questa decisione segnò una svolta drammatica per la città, che fino ad allora aveva mantenuto una certa autonomia politica ed economica. La comunità tropeana si ribellò all’idea di perdere la propria libertà tanto che, secondo la tradizione, le donne del popolo offrirono addirittura i loro gioielli e anelli nuziali per contribuire a riscattare Tropea.
Parallelamente, il giurista Luigi Lauro fu inviato alla Corte di Spagna per far annullare l’atto, poiché la vendita era stata conclusa senza l’approvazione del re ed il 13 novembre 1613, il Supremo Consiglio d’Italia emise una prima sentenza favorevole, dichiarando l’atto illegale. Tuttavia, ci vollero ancora due anni di battaglie legali, durante i quali Ruffo tentò più volte di ricorrere in appello.
Infine, il 23 agosto 1615, Filippo III di Spagna emise un decreto che dichiarava Tropea invendibile, riconoscendo la città come “libera” grazie alla sua fedeltà storica alla Corona, nonché per la sua antichità, bellezza e nobiltà
La leggenda narra che, al momento della sentenza, uno stormo di gru scrisse nel cielo la parola “Libertas”, segnando così simbolicamente la ritrovata libertà. Tropea festeggiò per tre giorni e tre notti con eventi e celebrazioni: carri allegorici, balli popolari, maschere e banchetti furono organizzati per sbeffeggiare il fallito tentativo di Ruffo di appropriarsi della città.
Da allora, ogni anno, la città celebra questo evento storico con una rievocazione organizzata dall’associazione “Libertas”, che promuove la memoria di questo momento cruciale nella storia di Tropea.